lunedì, 10 novembre 2008

Obama Presidende: il discorso della vittoria

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“Questa notte abbiamo dimostrato che l’America può cambiare, l’America è cambiata se solo sessant’anni fa non si poteva votare per cause di sesso o di colore della pelle. L’America è cambiata se uno come me può diventare presidente” ha detto Obama quasi incredulo che tutto fosse avvenuto e che lì ai suoi piedi avesse la sua città di Chicago e davanti a sé le telecamere il mondo. Il primo pensiero è andato ai suoi supporter, ai suoi fans, ai volontari e ai suoi due grandi manager. Il primo David Plouffe, responsabile della campagna e della comunicazione, “che ha costruito la più grande macchina politica che gli Stati Uniti d’America abbiano mai visto”, e il secondo David Axelrod, stratega politico, che ha reso possibile questa storica insperata vittoria. La nottata non è stata così lunga come si credeva. La vittoria è arrivata alle dieci di sera annunciata da una scritta sullo schermo della CNN proiettata sui maxischermi del Grant Park. E’ stata la folla ad annunciarlo con un boato mentre molti neanche se ne erano accorti. In realtà si è trattato di una azzardo vincente.

Obama conduceva la gara di 207 grandi elettori e ancora mancava la California, 55 punti già incamerati per i democratici. Obama aveva la vittoria a nove grandi elettori di distanza, tanti ne sarebbero serviti, alle 21 30 di una insolitamente calda sera di Chicago per vincere la Casa Bianca. Quando a pochi minuti dalle dieci sono arrivati, quasi inaspettati, i venti e più voti della Virginia, dove i democratici non vincevano dal primo dopoguerra, neanche Bill Clinton c’era riuscito, i giochi erano fatti. Ci ha messo una decina di minuti la Cnn ad annunciare una vittoria annunciata. Dieci spaccate della sera. Alle dieci e un quarto mentre tutti aspettavano il Presidente sugli schermi arriva McCain. I “buuh” scoppiati quasi immediatamente sono stati azzittiti tanto da diventare applausi da un discorso dignitoso, da combattente vinto che riconosce l’onore del vincitore e chiama su di sé l’onta della sconfitta. I buhh e i fischi sono ripresi quando sullo schermo è apparsa Sarah Palin. E servita un’altra mezz’ora abbondante prima che arrivasse Obama sul palco, accompagnato dalla famigliola in vestito da sera.

Interminabili minuti di una vittoria non ancora consumata prima che ripetesse le tre parole magiche che hanno segnato l’inizio e la fine della sua campagna: “Yes We Can. Quel “sì possiamo” ripetuto ossessivamente ad onor del pubblico che lo recitava come un rosario, ad ognuna delle grandi sfide che l’America si trova ad affrontare. Subito dopo la festa, in uno stile molto più sobrio della convention di Denver che aveva lanciato la corsa alla Casa Bianca del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti d’America, oltre due mesi fa. Il resto è stato festa. Prima con gli amici di Chicago, proprio qui a casa sua, la città dove è diventato professore, senatore e poi presidente. Poi con un passaggio nello stand blindato dello staff politico, poi dagli ospiti del vicepresidente Joe Biden, voce sommessa ma esperta dela campagna. Alla fine non un bagno di folla, ma un ennesimo discorso sul cambiamento che travolgerà l’America fatto ai fans e ai volontari. E un ennesimo giro di strette di mano saluti abbracci e ringraziamenti a cominciare dal sindaco di Chicago per finire all0inserviente della ditta di catering. Con una sola comprensibile preghiera: “Non chiedetemi di fare foto, altrimenti tornerà a casa domattina”.