venerdì, 14 settembre 2007

Lettera di Giorgio Baudone


Nelle precedenti riunioni mi è capitato di intervenire affrontando il tema del lavoro, considerandolo importante e discriminante tra gli argomenti che il futuro PD dovrebbe tenere presente. Ritengo opportuno ritornare in modo più organico sull’argomento per chiarire meglio il mio pensiero e per tentare di portare un contributo al dibattito sul PD.

Il punto di partenza dei miei ragionamenti è il MANIFESTO DEL LAVORO votato dagli ultimi congressi dei Democratici di sinistra e della Margherita e che costituisce il documento del Forum del Lavoro per il Partito Democratico .

In esso subito si affermache il Partito Democratico deve essere un grande partito del lavoro e rappresentare politicamente il valore del lavoro in quanto massima espressione della personalità, della creatività,dell’ingegno umano oltrechè della dignità della persona. Segue poi una serie di affermazioni tutte condivisibili.Non accettiamo che le donne siano escluse dai livelli dirigenziali…Non accettiamo che cresca il disagio, che si perda la fiducia, che ci si accontenti, che le persone, soprattutto le donne e i giovani, si ritirino verso streategie di sopravvivenza individuali…sino ad un concetto, a mio avviso importante, importante Democrazia nei luoghi di lavoro, nuove e corrette relazioni sindacali, partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori…Prosegue popi il documento ribadendo il valore centrale del lavoro nell’economia e nella società e ribadendo l’obiettivo primario della piena e buona occupazione.Per perseguire la quale occorreun cambio di paradigma economico e sociale con riforme radicali nelle regole e nelle politiche del lavoro come nel sistema produttivo e nel welfare. E ancora I valori comuni comuni delle tradizioni riformiste socialdemocratiche, cattolico-democratica e liberale – solidarietà, diritti e tutele, sicurezza e la stessa dignità del lavoro – vanno reinterpretati per contrastare le spinte alla frammentazione dei lavori, per dare risposte all’incertezze e alle disuguaglianze sociali indotte dalla concorrenza globale, per ridare senso allo sviluppo e al lavoro.

Da qui ne derivano l’importanza prioritaria della crescita,il fare leva sulla ricerca, sulla concertazione per arrivare a rivedere il concetto di flessibiliatotà, da distinguere dalla precarietà, per affermare che la forma normale del rapporto di lavoro deve essere quello a tempo indeterminato, garantendo per tutte le altre forme adeguate compensazioni sociali, assicurando il diritto alla riqualificazione e facilitando l’accesso ai nuovi lavori. Il documento affronta poi il problema dell’età pensionabile e quello della sicurezza. E finalmente arriva a parlare di modernizzazione e valorizzazione dei servizi pubblici, decisive per sostenere la crescita dell’economia…per rendere effettivamente fruibili a tutti i diritti sociali e di cittadinanza.In particolare è importante : rendere effettivo l’esercizio della responsabilità della dirigenza pubblica e garantire l’autonomia rispetto al potere politico; potenziare la formazione del personale a tutti i livelli…rendere effettivamente operanti i meccanismi premianti che valorizzino il merito e la competenza del personale a tutti i livelli, gestiti da una dirigenzasempre più qualificata e responsabilizzata…

Qui mi fermo. E’ evidente che i sapienti cervelli che scrivono queste cose mai hanno lavorato in un apubblica amministrazione. Perché nei fatti, nella pratica, non è così che funzionano le cose. E soprattutto non è continuando a favorire una disparità enorme nel trattamento economico tra i lavoratori che si ottengono risultati di efficienza e qualità. Non è affiodando a CANI da guardia che fanno il buono e il cattivo tempo nei posti di lavoro, stabilendo i premi e i castighi per i colleghi che si aumenta la produttività, ma , se mai, i risultati che ci si prefigge si raggiungono più facilmente estendendo ai diversi livelli le responsabilità in un processo di coinvolgimento e impegno partecipati che si raggiunge il miglioramento complessivo del lavoro, con naturalmente più equità nelle retribuzioni. Riguardo a questo ultimo aspetto un tempo il criterio quasi unico era quello dell’anzianità; criterio discutibile, se vogliamo, ma almeno aveva il pregio dell’oggettività e spesso anzianità di servizio significava maggiore competenza, più conoscenza ed efficienza, a vantaggio non solo degli ente ma anche dei colleghi…Adesso è tutto discrezionale e i dipendenti pubblici sono, di fatto, per quanto attiene gli avanzxamenti ecomomici e di carriera, degli ostaggi nelle mani dei dirigenti.

Siamo sicuri che quando un dipendente non rende “adeguatamente” le cause siano da addebitare al suo tasso di fannullagine e non all’incapacità dei dirigenti a metterli in condizione di lavorare al meglio? I contratti prevedono organismi esterni che dovrebbero giudicare l’operato dei dirigenti. In quanti enti pubblici questi istituti sono stati attivati. La verità è che i dirigenti degli enti sono diventatiuna numerosa casta autoreferenziale, retribuita lautamentre e, di fatto, irresponsabile. Voglio fare qualche esempio. E’ immaginabile che per rimuovere due dirigenti non più graditi sia stato possibile incentivare il loro pensionamento gartificandoli di 75.000 euro ciascuno?( Episodio realmente accaduto in un ente pubblico territoriale). Lo so, lo prevede il contratto dei dirigenti, ma queso è uno scandalo! Come è vergognoso che un dirigente di un medio ente guadagni dai 160.000 ai 200.000 euro e un quadro intermedio 20.000.

E’ evidente che nessuno affronta in termini di verità questi argomenti. Quando si afferma che il centrosinistra ha un problema con il cetro medio nessuno sembra volersi accorgere che in Italia esiste una questione retributiva, che una volta veniva chiamata questione salariale. Lo so i problemi sono tanti, da chi non ha il lavoro a chi neha uno precario e mal pagato. Ma esistono anche lavoratori che vicini ai quarant’anni di servizio vengono retribuiti con poco più di 1000 euro al mese e motissimi non arrivano neanche a questa cifra.

Voglio fare l’esempio degli insegnanti che, recentemente, dopo la polemica sollevata da Pietro Citati, che ha proposto di raddoppiare a tutti loro lo stipendio, hanno per qualche giorno attirato l’attenzione dei giornali. Su Repubblica del 4 luglio scorso, veniva riportata una tabella con gli stipendi degli insegnanti di vari paesi europei, Francia, Germania, Inghilterra, Spagna e Italia. Bene, prendendo solo l’esempio della scuola primaria ( ma vale anche per gli altri ordini scolastici, la secondaria di I grado e quella di II ), si nota subito che, a parte la Francia, negli altri paesi c’è sin dall’inizio dela carriera una notevole differenza: 33.116 euro in Germania, 25.560 in Inghilterra, 27.552 in Spagna; in Italia 20.885, uguale in Francia. Ma, dopo 15 anni abbiamo 27.297 in Francia, 41.209 in Germania, 36.916 in Inghilterra, 31.908 in Spagna. In Italia 25.226. A fine carriera 40.276 in Francia, 42.968 in Germania, 36.916 in Inghilterra, 39.903 in Spagna. In Italia 30.687. E il ministro Fioroni lancia la sua sfida: Premiamo la serietà e il merito!!Anche lui ignora la vera questione, che è quella retributiva. Ignora il ministro che gli insegnanti italiani sono quelli con lo stipendio più basso non solo all’inizio della carriera ma anche dopo! Ignora che il vero scandalo non è tanto lo stipendio iniziale ma la mancata progressione. Ignora soprattutto, lui come quasi tutta la classe dirigente di centrosinistra ( non parliamo della destra con Berlusconi che in TV ebbe il coraggio di dichiarare che le aspettative di vita dei figli dei lavoratori normali non possono essere simili a quelle dei loro figli! ) che non possiamo non porci il problema dell’uguaglianza. E uguaglianza non solo, cari Eugenio Scalfari e Aldo Schiavone , delle opportunità di partenza o di accesso alle tecnologie, ma uguaglianza sostanziale, quella retributiva.Se no di quale uguaglianza parliamo?

Rimuginavo queste cose e, finalmente!, leggo in un ‘intervista al ministro Bersani ( Repubblica, 11 luglio ): …E vi dico questo..c’è una rottura acuta tra la società e la politica.Ma c’è una spaccatura ancora più profonda tra la società e il centrosinistra…saltano i nervi, quelli che stanno al riparo si rinchiudono sempre più nelle casematte difensive, nelle caste corporative, nelle reti familistiche, nel capitalismo di relazione…produce reazioni anarcoidi e spinte centrifughe…Le idee unificanti diventano liquide, non fanno più presa. Tra queste io ci metto l’idea di uguaglianza, che invece per il centrosinistra rischia di spegnersi nella pura difesa dei simulacri delle vecchie conquiste…E ancora :questo centrosinistra è miope… non vediamo più ilpunto fondamentale: nell’occidente siamo il Paese in cui è più ampia la forbice tra i redditi, e in cui c’è meno mobilità sociale. Questa realtà deve diventare una vergogna, per chi dice di essere di sinistra. Già. Ma Bersani, per non spaccare i DS, non si candida alla guida del PD. Ma come, non dovevamo Ds, Dl e tutti gli altri “spaccarci” tutti per poi ricomporci nel PD ? Ma lasciamo stare questo punto che ci porterebbe fuori tema.

L’uguaglianza! E’ questo concetto che ci distingue la sinistra dalla destra. Lo aveva affermato con chiarezza Norberto Bobbio e adesso per andare dietro ai criteri della meritocrazia nessuno ne tiene più conto. Si badi bene : non si vuole affermare che non si debbano premiare le capacità, l’impegno, la bravura. Si vuole solo dire che tra uno bravo e un altro meno non ci possono essere le differenze retributive di oggi. Perché noi, noi del PD, dovremmo tner conto anche delle ragioni, dei bisogni di chi bravo non è…La nostra idea non è, non può essere, quella della società competitiva, bensì quella della società solidale e solidaristica, nella quale i più capaci certo devono emergere ma senza schiacciare, annullare gli altri che lo sono meno…Quindi più uguaglianza, meno ampia la forbice tra i redditi, cominciando a ridurre quelli dei parlamentari .

Mirendo conto che i problemi del mondo globale sono enormi ma non possiamo affrontarli ignorando i riferimenti ideali richiamati anche nel documento sul lavoro e, soprattutto, non pensiamo ri risolverli andando a prestito di concetti e idee che non sono mai stati e non possono essere nostri.

Giorgio Baudone


1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Giorgio,
mi è molto piaciuta la tua sollecitazione sul tema del lavoro.La condivido
in tutta la parte relativa alla forbice retributiva, che in Italia,
raggiunge livelli inamissibili, come dici tu da casta:basta arrivarci e sei
a posto; da quel momento in avanti, potrai solo incrementare i tuoi
privilegi, sicuro di non essere sottoposto a nessuna verifica, di non dover
dimostrare più niente a nessuno.
Non penso però che a quest'insieme di scandalosi privilegi, nel pubblico
impiego (ma non solo), si possa proporre come alternativa l'uguaglianza
retributiva.Quella l'abbiamo sperimentata prima, prima dello scempio attuale
e ha portato ad un altro scempio: quello dell'assistenzialismo.Io non credo
che il passato, da questo punto di vista, possa rappresenare un riferimento,
se non per farci capire gli errori da evitare; così come non credo che "i
sapienti cervelli" da te citati ,che hanno messo a punto il manifesto del
lavoro, volessero fotografare la realtà del lavoro,così come si presenta
ora, ma piuttosto,indicarne possibili futuri orientamenti.

Detto questo, mi sembra che il vero nodo problematico della tua lettera sia
espresso dalla frase "
noi del PD, dovremmo tner conto anche delle ragioni, dei bisogni di chi
bravo non è.La nostra idea non è, non può essere, quella della società
competitiva, bensì quella della società solidale e solidaristica, nella
quale i più capaci certo devono emergere ma senza schiacciare, annullare gli
altri che lo sono meno.Quindi più uguaglianza, meno ampia la forbice tra i
redditi, cominciando a ridurre quelli dei parlamentari .

Mirendo conto che i problemi del mondo globale sono enormi ma non possiamo
affrontarli ignorando i riferimenti ideali richiamati anche nel documento
sul lavoro e, soprattutto, non pensiamo ri risolverli andando a prestito di
concetti e idee che non sono mai stati e non possono essere nost



Condivido l' idea che dobbiamo difendere e praticare l'idea di uno stato
solidale, che si faccia carico anche di chi "bravo non è " e condivido anche
che prima di dare del farabutto lazzarone a un lavoratore, vadano valutati i
fattori in cui si trova da operare.Farsi carico di chi "bravo non è", è non
solo un atto solidaristico che nobilita il mondo del lavoro, ma è anche una
scelta che incrocia la produttività, dal momento in cui, risolvendo alcuni
aspetti del contesto lavorativo, mettiamo il lavoratore in condizione di
operare più e meglio.(una madre-lavoratrice che sa di avere all'interno del
posto di lavoro l'asilo-nido e uno spaccio per le spese di base,
difficilmente sentirà la necessità di scapparsene a casa, magari facendo
firmare il cartellino a una collega).E questo incrocia anche un altro
aspetto importante, che chi ha steso il Manifesto aveva presente:che il
lavoro, rappresenta uno dei fattori più importanti di gratificazione e di
rafforzamento dell'autostima per l'individuo.
Ho il grande privilegio di aver conosciuto, oltre a quella italiana, la
realtà svizzera, che , a differenza di quanto si pensa comunemente, non è un
esempio di approccio reazionario al mondo del lavoro, bensì
socialdemocratico.Per averci studiato e lavorato so che cosa significa
mettere nelle condizioni di lavorare.Quindi figurati quanto condivido il
tuo discorso.
Il problema è che cosa significa farsi carico di chi "bravo non è".Non può
voler dire, secondo me, ciò che abbiamo visto in passato nella pubblica
amministrazione: bassi salari, assunzioni di massa pilotate e in funzione
del potere politico, nessuna richiesta di efficienza. Col risultato che
c'era chi non faceva niente perchè non era bravo e chi, caricandosi del
proprio e dell'altrui lavoro, per senso di responsabilità nei confronti dei
cittadini, lavorava moltissimo.A parità d salario.Anche questa è una
disparità inaccettabile, che ha fatto gridare "Guai ai bravi!".Il PD dice di
voler lottare contro tutte le posizioni di rendita(chi "bravo non è" spesso
ha difeso con le unghie e coi denti la sua ),che hanno ingessato lo sviluppo
del paese.Condivido questo intento. E credo che lo condivida anche tu.

Che fare , allora?
Secondo me il problema della solidarietà e della produttività può essere
affrontato con una strategia, che si potrebbe chiamare della
"moltiplicazione": moltiplicazione delle opportunità di lavoro, di quelle di
formazione, di quelle salariali.Per ogni persona ci deve essere la
collocazione adatta e la possibiità di sperimentare più strade, per poi
trovare quella giusta; moltiplicazione delle opportunità di mobilità sociale
verso l' alto; moltiplicazione della possibilità di scegliere tra diversi
tipi di formazione; moltiplicazione degli incroci fra i diversi tipi di
formazione.In questa chiave certo, diventa fondamentale l'uguaglianza delle
opportunità di partenza, ma anche quella delle possibilità date a chi è già
partito e si trova lungo la strada.
Ti faccio l'esempio di una mia cara amica di Lugano.
Appena uscita dalle magistrali, resta incinta.Non si iscrive all'Universita
, alla facoltà di Psicologia di Ginevra, come avrebbe voluto.Fa la maestra
per qualche anno.Poi inizia a frequentare , lavorando, ma usufruendo di
pemessi formativi, un corso di tre anni abilitanteall' insegnamento con i
ragazzi diversamente abili e lavora poi nove anni in un centro per il
recupero delle abilità.Questo passaggio ha coinciso anche con una
progressione salariale.Dopo nove anni è sfibrata, le sembra di non farcela
più. Il cantone istituisce un corso triennale per orientatori. La cosa
l'attira, s'informa, vi si iscrive.Continua ad esercitare il lavoro
precedente e segue al contempo tre anni di corso impegnativo : un week-end
full-immersion ogni 15 giorni. Diventa orientatrice: per adulti; per gli
adulti che non si trovano bene nel lavoro che occupano o per quelli che il
lavoro l' hanno perso.Naturalmente altra progressione salariale.Nel '99 si
iscrive allla facoltà di psicologia di Ginevra. Le valutano il curriculum
che ha alle spalle: con 7 esami teorici di aggiornamento e la tesi si
laurea. Ora, in qualità di psicologa svolge alcuni incarichi all'interno del
Servizio di Orientamento e mantiene al contempo il lavoro precedente.
Se lo stato non le avesse dato la possibilità di riqualificarsi e di
realizzarsi come voleva, se fosse stata costretta a fermarsi a livello di
insegnante , avrebbe ugualmente espresso le sue potenzialità produttive? O,
schiacciata su quel ruolo, insoddisfatta, affaticata, non avrebbe potuto
diventare una che "brava non è"?
Sai quanti esempi potrei farti?Percorsi come questo lassù sono la regola.

La meritocrazia, in un sistema immobile può diventare una pratica insidiosa,
che riduce i dipendenti a ostaggi sottoposti a tutti i ricatti.Perchè
funzioni ci vuole un sistema dinamico, fondato sulla formazione continua,
sulla flessibilità e al contempo sul rispetto delle prerogative del
lavoratore..Su questo, in Ticino non si scappa:lo stato ti mette nelle
condizioni di trovare diverse opportunità, ti favorisce se vuoi maggiore
formazione, ti gatifica con salari che vanno da 2 a 4 vote gli stipendi
italiani, ai diversi livelli. Ma se non lavori c'è il licenziamento.Punto e
basta.Anche col benestare dei sindacati che controllano, ma non ostacolano
provvedimenti motivati.Pochissimi i casi, peraltro.E poi c'è la formazione
continua e il controllo anche per i dirigenti.E qui penso che gli stipendi
italiani non abbiano niente da invidiare agli altri.
Troppa rigidità? Ma in termini di giustizia sociale, non credo che il
permissivismo sia migliore.

Secondo me il PD deve battersi per far convivere i principi di solidarietà ,
produttività e mobilità (che non è precarietà: la mia amica ha sempre
lavorato con contratti a tempo indetermnato, dopo un periodo di prova).Il
mondo del lavoro deve essere strutturato in modo che il lavoratore possa
trovare ciò che va cercando.Questo lo si ottiene certamente creando una
cornice che garantisca a tutti il rispetto della propria dignità
individuale; che permetta di accedere alla formazione e all'equità
salariale in base alle proprie funzioni; ma anche cercando di raccogliere e
di diffondere gli aspetti migliori di una una cultura del lavoro che va
perdendosi e che vedeva il lavoro come assunzione di responsabiltà e come
realizzazione di sè .

Marina